Volevo fare il fumettista…
… e ci ho provato… sicuramente avrei potuto fare di più, ma ci ho provato.
Già dalla più tenera età mi ero appassionato ai fumetti, prima con Topolino & Co. e poi con Zagor, Akim e altri bonelliani a seguire. Stiamo parlando di un’età compresa tra i 6 e i 10 anni. Grazie ad un amico avevo scoperto anche i supereroi Marvel e DC, che all’epoca erano editi dalla Corno e dalla Cenisio; altri tempi.
I secondi timidi tentativi da fumettista in erba (i primi ve li risparmio); poteva essere il 1990 o giù di lì, e Dylan Dog spadroneggiava pesantemente… – Dylan Dog © Sergio Bonelli Editore
Superate le scuole medie scopro Dylan Dog… “Gli Uccisori”, numero 5 della serie, scritto da Sclavi e disegnato da Dell’Uomo… non c’ho più capito niente! Quel fumetto, proprietà di un amico, aveva fatto il giro della classe ed era stato letto (in orario di lezione ovviamente) da buona parte dei presenti. Era scattato qualcosa; un sassolino (bello grosso per la verità) aveva fatto partire una valanga. Era il primo passo verso una passione che, da tiepida brace, si sarebbe trasformata nel divampante fuoco del collezionista compulsivo con aspirazioni fumettare.
1993, come recita la data apposta in calce al disegno. La DYD Mania non accennava minimamente a diminuire – Dylan Dog © Sergio Bonelli Editore
1995 – Dylan comtinua a imperversare
Dylan Dog purtroppo usciva solo una volta al mese e, un giorno, in palese astinenza da fumetto, mi trovai in edicola a rigirare tra le mani un altro albo: “Agarthi”, numero 67 della collana “Martin Mystère”. Mal me ne incolse perché, sebbene la storia fosse già a metà (perché gli albi non erano autoconclusivi), mi persi tra le pagine del mystero, scoprendo la mia passione per l’insolito.
Forse 1995 – Reinterpretazione di una tavola tratta da Martin Mystère n. 47: “Tempo Zero” – Martin Mystère © Sergio Bonelli Editore
Insomma, da lì in poi fu una tragedia per le mie magrissime tasche. Prima che diventassi un consumatore compulsivo di fumetti dovetti però aspettare parecchio… che cosa? Uno stipendio!
La mia prova per una copertina di Erinni. Sarà stato il 1995 o 1996. Ad Ade piacque anche, ma poi ne persi le tracce. Probabilmente fu fagocitato dai millemila progetti a cui lavorava – Erinni © Ade Capone
Nel frattempo producevo disegni su disegni, spedivo lettere per mostrare i miei lavori e chiedere consigli. Piano piano affinavo le capacità e rimediavo agli errori più ovvi. Partecipavo alle fiere del fumetto (quelle vicine a me) incontrando alcuni autori. Ricordo di aver intavolato una quasi-collaborazione con Ade Capone per la produzione di una o più copertine di Erinni, un suo personaggio. Alla fine non se ne fece niente e la cosa si perse nel limbo.
Feci anche delle prove per il fumetto 2700, ma arrivai giusto in tempo a vedere che la piccola casa editrice stava per chiudere, e anche lì niente da fare.
La matita rifinita di uno studio di cover per 2700 di Manfredi Toraldo, edizioni Piuma Blu
Per la Bonelli non ci provavo neanche, sapevo di non avere ancora maturato abbastanza le mie capacità, ma senza l’aiuto e la supervisione di qualcuno dell’ambiente, da completo autodidatta, mi rendevo conto che non sarei andato lontano. Perché a pensarci bene non avevo la costanza di disegnare più di 5-10 tavole della stessa storia, e questo è un problema, perché ti trovi a partire con un entusiasmo che poi, sulla distanza, si smorza.
Un tentativo per Tex, ma non sono mai andato oltre… che Tex è anche simpatico ma è parecchio permaloso. Gli fai il cappello un po’ più grande e se ne accorge subito, e non è che hai tanta voglia di discutere con uno che gira sempre con la pistola…
Una tavola di un progetto personale in stile fantasy. Ovviamente il progetto si è arenato, a dimostrazione che la costanza è un elemento imprescindibile per fare fumetti. Ho però ancora tutti gli studi dei personaggi e, chissà che un giorno… seee, vabbé, come no…
Quindi forse non era quella la mia strada. Forse ero più vicino all’illustrazione che al fumetto. D’altronde c’è chi è più portato per la maratona e chi per i 100 metri. Però il fumetto mi è rimasto sempre nel cuore. Anche adesso che, a causa della mancanza di spazio, ne compro molti meno di un tempo. Perché è un piccolo miracolo di comunicazione, fatto ancora in maniera artigianale, in cui tratti neri su una pagina bianca raccontano storie. È il fascino del dare molto con “poco”. È un po’ l’antitesi della “filosofia” odierna del dare “niente” ma con una confezione che ti stordisce i sensi. Purtroppo alcuni ci provano a portare questa “filosofia” anche nei fumetti; altri per fortuna no. Un grazie sentito a questi ultimi.
Berto, un pellicano con la barba che avevo inventato nei primi anni novanta per delle strisce umoristiche. Anche questo arenato in poco tempo.
Comunque, volevo fare il fumettista e non ce l’ho fatta, ma in fondo ciò che faccio non è così lontano: mi occupo di utilizzare mezzi visivi per veicolare contenuti. E comunque, prima o poi, magari da grande, un fumetto tutto mio lo disegnerò, di questo sono convinto.
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