BRIAN DI NAZARETH – una recensione di “spirito”
In prossimità del Natale, una festività che dovrebbe avvicinarci agli aspetti spirituali dell’esistenza, ho pensato di pubblicare la versione ridotta di una mia particolare recensione di “Life of Brian”, uno dei più famosi film dei Monty Pithon (da noi conosciuto come “Brian di Nazareth”). All’epoca della sua uscita (1979), creò parecchio scompiglio… e in Italia uscì con soli 12 anni di ritardo.
La recensione non tratterà di quanto divertente sia il film (non direttamente), della satira sul messianismo ebraico, di “Mavco Pisellonio” o del “Romani ite domum”, ma si concentrerà su quegli aspetti che fanno di questo film satirico un motivo di spunto e riflessione, se non proprio di risveglio della coscienza. Buona lettura!
Gerusalemme: anno 33 d.C. – sabato pomeriggio…
Lungo una strada, sedicenti profeti arringano i passanti, predicendo ogni sorta di sventure agli impenitenti. Uno di questi viene improvvisamente scaraventato via dal proprio pulpito da Brian, precipitato da un balcone per sfuggire ai legionari romani. Per non dare nell’occhio Brian comincia a farfugliare qualche parola nella speranza di confondersi tra gli altri predicatori.
Questo è l’incipit di una delle scene più esilaranti, e allo stesso tempo più profonde, di quella dissacrante pellicola che è “Brian di Nazareth”, terzo lavoro cinematografico dei Monty Python. In questo brano del film vengono sintetizzati duemila anni di fanatismo religioso e di incoscienza delle masse. Ho descritto come dissacrante la pellicola, ma dovrei essere più preciso, poiché nei confronti del messaggio cristiano il film è più che rispettoso: qui non si prendono in giro i misteri del sacro, quanto piuttosto le miserie umane che tentano di vestirsi di sacralità. In questo senso è certamente (e giustamente) “dissacrante”.
Ma riprendiamo la scena. I legionari superano Brian senza curarsi minimamente della sua presenza. Brian, resosi conto di averla scampata, tronca il suo discorso recitando: «… solamente a loro! Verrà dato solamente…».
Una donna del pubblico chiede: «Che cosa? Gli sarà dato che cosa?»
«Ah, niente» risponde Brian cominciando ad allontanarsi, seguito da uno stuolo di persone incuriosite. Il sospetto che Brian abbia conoscenza di un segreto spinge una donna a dire: «Dillo solo a me», mentre un uomo replica: «No, dillo a noi, siamo arrivati per primi».
Un segreto è qualcosa che pone, chi ne viene a conoscenza, in una posizione di vantaggio rispetto agli altri. Entrano così in gioco due aspetti prettamente materiali: il desiderio di conoscere, per poter essere al di sopra degli altri, e la paura che il segreto venga divulgato ad altri prima che a noi, facendoci perdere quel vantaggio.
Altre persone si uniscono ovinamente al gruppo, credendo che tutti stiano seguendo qualcuno di estremamente importante.
Intanto riappare un uomo a cui Brian aveva regalato una zucca. Una donna prende tra le mani la zucca e, sollevandola, esclama: «Questa è la sua zucca! Saremo noi a portarla per te, maestro!».
Brian, dandosi alla fuga, perde un sandalo. La folla si arresta di fronte a questa nuova “reliquia”.
«Ci ha dato un segno!» esclama uno dei primi auditori.
«Facciamo tutti come lui! Teniamo una scarpa in mano e lasciamoci l’altra al piede.»
Comincia l’iter di formazione dei dogmi, nei quali veicolare l’energia della massa. Si è appena creato un movimento che segue una figura emblematica e i capi in testa cercano delle regole con cui pilotare il potenziale raggiunto.
Nasce quindi un dibattimento a base di scarpe e zucche che genera il primo scisma:
«Prendiamo le scarpe e seguiamolo, Scarpiani!» urla colui che a raccolto la calzatura, portando con sé metà della folla. Intanto la donna con la zucca incita l’altra metà: «Seguite la zucca, Zucchiani!», e riprende l’inseguimento.
Brian, nel frattempo, cerca rifugio nella fossa di un vecchio eremita votato al silenzio. Nello scendere pesta un piede dell’asceta il quale, urlando di dolore, infrange il suo voto di silenzio. Brian cerca di farlo tacere ma è troppo tardi, la folla lo sente.
«Maestro, siamo qui!» esclama l’uomo con la scarpa.
«Andate via!» urla Brian.
«Ci ha benedetti!» esulta la folla.
Qui viene evidenziato come il fanatico, in maniera assolutamente acritica, si ostini a vedere ciò che desidera e non la realtà. Pur di far quadrare le cose secondo il proprio modo di vedere, il fanatico è capace di fare carte false, a volte anche inconsciamente e (termine spesso improprio) in “buona fede”.
«Maestro, il tuo popolo ha percorso molte miglia per stare con te, è stanco, non ha mangiato…» chiede il primo auditore.
«Ci sono dei cespugli di ginepro laggiù» risponde Brian pur di liberarsene.
«Miracolo!» esclama la folla, dandosi all’assalto del cespuglio.
L’eremita protesta: «Erano diciotto anni che non aprivo bocca, finchè non è arrivato lui».
La folla va in visibilio: «Miracolo! È lui il messia».
La realtà viene amplificata e distorta. La lettura forzata del miracolo va a completo sostegno di quell’ego che, nel sovrannaturale, cerca un sonnifero per la coscienza.
Il messia, quando è reale, compie i miracoli per dimostrarci che tutto è possibile, anche (e soprattutto) affrancarsi dalle tenebre, non per far sì che ci rimettiamo completamente a lui spegnendo ogni barlume di coscienza.
«Non sono il messia!», risponde Brian, e qui arriva una battuta capolavoro, quando il primo auditore esclama: «Tu sei il messia: io me ne intendo, ne ho seguiti parecchi!».
Geniale questo passaggio che, in una sola battuta, utilizza una perfetta dichiarazione di fanatismo come prova di veridicità. Il bello è che nella realtà accade proprio questo: si arriva ad ostentare il proprio peggior difetto come prova di virtù; la perfetta distorsione del messaggio cristico.
«Io NON SONO il messia, lo giuro su Dio!» urla un esasperato Brian.
Per tutta risposta la donna con la zucca declama: «Soltanto il vero messia nega la sua divinità!»
«Che cosa? Ma così state cercando di incastrarmi.» risponde Brian con voce incredula.
Il giorno dopo Brian ritrova sotto la sua finestra una folla ancora più numerosa: la voce si è sparsa. Brian cerca in tutti i modi di convincerli ad andarsene, suggerendo loro di pensare con la propria testa, ma non c’è niente da fare: la folla adorante annuisce a qualunque affermazione ma non fa altro che attendere che Brian dica loro cosa fare, in tutto e per tutto.
Qui diventa manifesta la ricerca di una figura sovrannaturale che ci sollevi dalle nostre personali responsabilità. Perché è questa una delle leve su cui il nostro ego fa pressione: la possibilità che in fondo ci sia una forza ultraterrena che si faccia carico del nostro fardello, lasciandoci liberi di rimanere addormentati.
Infine non mancano le persone che, vedendo il potenziale di una simile massa pilotabile, non vede l’ora di sfruttarla per i propri scopi e cerca di convincere Brian ad essere il messia che la gente vuole che sia.
Questa dinamica tra fanatismo e mitomania tocca tutti i campi della società umana. Ovunque esista un’aggregazione di persone (militare, politica, economica ecc.), e quindi una risorsa sfruttabile, ci sarà qualcuno pronto a utilizzarla per i propri scopi. Ciò che spesso non si coglie è che la maggior parte delle persone che fanno parte di un gruppo, non vedono l’ora di affidarsi a qualcuno. Quindi chi vuole risvegliarsi dovrà scontrarsi non solo con il mitomane, ma con tutti quelli che lo seguono e che del risveglio hanno paura.
Le religioni sono un campo cruciale della società umana. Il messaggio di luce dei fondatori delle varie religioni sparse sul pianeta è stato raccolto nei secoli da uomini, non da risvegliati; uomini che spesso (troppo spesso) hanno utilizzato il potere di un movimento esistente non per risvegliare le coscienze, ma per tenerle narcotizzate.
Il film, alla fine, mette in luce le incongruenze tra il messaggio divino e la sua apparente applicazione da parte degli uomini.
I Monty Python sono certamente poco convenzionali e a tratti feroci, e utilizzano humor, paradosso e nonsense in una miscela provocatoria, ma offrono molti spunti, inducendo alla riflessione con una risata. Film consigliato per tutti quindi, purché maggiorenni e con un minimo di senso dell’umorismo.
Nota: La recensione originale era lunga poco più del doppio; ho scelto di pubblicare la versione ridotta per motivi di fruibilità ai tempi di Internet.
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